La Lateral Elbow Tendinopathy (LET), meglio conosciuta come «gomito del tennista», descritta per la prima volta da Runge nel 1873 (1), è una delle sindromi da «overuse» di più facile riscontro. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, si rileva più frequentemente nel tennista «amatoriale» che non nel professionista.(2)
Il quadro clinico è di facile descrizione e identificazione, ma di difficile spiegazione eziologica. Esordio subdolo, spesso asintomatico, ma con evidenti limitazioni funzionali associate a positività ai test clinici provocativi.(3)
Caratterizzata da debolezza e dolore alla palpazione sull’epicondilo spesso irradiato distalmente all’avambraccio e associato a dolorabilità alla dorsiflessione resistita di polso, dito medio o di entrambi. Il sintomo è aggravato dalla prensione.(4)
Generalmente il muscolo coinvolto è l’estensore radiale breve del carpo, ma in certi casi sembrano interessati i pronatori dell’avambraccio.(5,6). La prevalenza nella popolazione è pari all’1-3% con picco d’incidenza su 40-50 anni.(7-10)
La media della durata di un episodio tipico è compresa in un lasso di tempo che va da 6 a 24 mesi, ma la durata del sintomo non sembra essere legata alla sua gravità.(11) L’89% dei pazienti recupera entro un anno.(12)
I principali fattori di rischio riconosciuti sono la movimentazione di carichi >20kg almeno 10 volte/giorno, i movimenti ripetitivi >2h/giorno.(13,14) A questi vanno poi aggiunti alcuni fattori di minor impatto, ma non trascurabili quali: soggetti con problemi di cuffia dei rotatori(15); tennis; età compresa tra 45-54 anni; importante utilizzo di steroidi per via orale; presenza di altre tendinopatie; contrazioni eccentriche ripetute; razza bianca; tabagisti.
Coombes, Bisset e Vicenzino nel 2009 hanno pensato a un modello che da una parte spiegasse la complessità eziologica della LET e dall’altra individuasse sottogruppi identificabili sia sul piano della modalità terapeutica che su quello degli outcome. Ecco allora che la LET s’identifica come malattia multifattoriale nella quale pesano almeno tre differenti elementi patognomici: condizione clinica del tendine comune degli estensori di carpo e dito medio, sensibilizzazione del sistema nervoso (ancor più del “sistema dolore”) e presenza di eventuali impairment motori.
I tendini rispondono a forze statiche e dinamiche che ne possono alterare: struttura, composizione e proprietà meccaniche, un processo definito come meccanotrasduzione. Overuse(16), «Under-use»/«stress-shielding»(17-21), insufficiente vascolarizzazione tendinea (22,23), lesioni da ipertermia (24) e modifiche da alterata espressione genica sono all’origine di cambiamenti strutturali tipici di tutte le tendinopatie.
A fondamento di questa teoria esistono numerosi studi che mettono in evidenza cambiamenti di tipo istologico in tendini non sempre sintomatici e che si riassumono nel “modello di progressione delle tendinopatie”.(25) Sono descritte tre potenziali fasi di risposta al carico: 1) reattiva, 2) guarigione incompleta e 3) degenerativa. Ciascuno di questi momenti richiede un diverso approccio clinico riabilitativo. Consideriamo un tendine ormai degenerato, spesso caratterizzato da iperplasia angioplastica (26,27), i cambiamenti strutturali non potranno più essere modificati, ma solo “gestiti efficacemente” attraverso un programma riabilitativo che passa anche e soprattutto attraverso l’esercizio terapeutico.
Il secondo aspetto considerato da Coombes, Bisset e Vicenzino è il “pain system changes”, termine utilizzato per definire un complesso fenomeno di cambiamenti del sistema nervoso che da solo può contribuire alla patofisiologia di questa e di altre condizioni.(28) Deficit sensitivi e motori sono stati riscontrati bilateralmente in molte tendinopatie monolaterali le cui manifestazioni più tipiche sono: iperalgesia e iperalgesia secondaria.(29)
Gli stati cronici dolorosi muscoloscheletrici come le LET possono essere espressione di: cambiamenti periferici e centrali del SN che coinvolgono sia processi nocicettivi che non nocicettivi così come tessuti neurali che non neurali; alterazione dell’attivazione e della funzionalità dei recettori periferici che rimane anche in assenza di input esterni; presenza di elementi neurochimici algogeni (es, glutammato) attorno all’ECRB responsabili a loro volta di: aumento della reattività, dell’eccitabilità e della dimensione del campo recettoriale di alcuni neuroni.(30-33) Tutto quanto ascrivibile in un meccanismo ancora più articolato meglio conosciuto come sensibilizzazione centrale.
Interessante notare come a supporto dei teorici del cambiamento del “sistema dolore” vi siano studi che sono andati a indagare la risposta a stimoli di tipo pressorio e termico su arti sani comparandola non solo ai controlaterali negli stessi soggetti ma anche con quella degli omologhi in soggetti sani.(34) Gli arti «sani» di pazienti affetti da LET comparati agli omologhi dei “controlli” mostrano: riduzione significativa nella PPT (Pressure Pain Thersholds), riduzione significativa nella TPT (termal Pain Thersholds), riduzione della velocità di movimento, aumento del tempo di reazione a stimoli semplici, aumento dei tempi di reazione nella scelta di un movimento.
I pazienti che presentano dolore e disabilità di grave entità si distinguono per ipersensibilità a stimolazione termica e in particolare per l’iperalgesia da freddo bilaterale. Gli studi portano a pensare al coinvolgimento si tutti gli apparati del sistema nervoso: centrale, periferico, ma anche simpatico. Ciò può contribuire a spiegare i peggiori outcome di questo sottogruppo.(35)
Accanto ai risultati ottenuti nella descrizione dei deficit del sistema dolore si evidenziano alcuni cambiamenti del sistema neuro-motorio bilateralmente(36,37) come ad esempio: Deficits of gripping capacity (Pain-free grip force) ridotta all’arto superiore affetto da LET in media del 43-64% se comparata con il controlaterale(38,39); Specific muscle strength deficits Flexor; Deficit di forza nei flessori e negli estensori di polso e mano nei gruppi di soggetti con LET comparata con controlli sani(40,41) ad eccezione dell’estensione dell’articolazione metacarpofalangea. A questo vanno poi aggiunti i cosi detti “morphological changes of muscle”, le fibre muscolari veloci possono apparire: «tarmate», necrotiche, con segni di rigenerazione e con elevate percentuali di ossidazione.(42) Questi cambiamenti sono in linea con i deficit di forza individuati e probabilmente contribuiscono al continuo deterioramento del sistema motorio.

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